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Colui che non deve essere nominato

La scoperta dell'autismo

L'unica cosa che sapevo dell'autismo era quello che avevo visto in due film molto famosi:

Rain Man e Codice Mercury.

In realtà e questo poi lo scoprii in seguito, danno una visione molto distorta di quello che in realtà è l'autismo.

Siamo abituati ad immaginare gli autistici come dei geni, vedono codici segreti, sono abili giocatori di carte, sono dotati di una super intelligenza...in realtà solo una piccolissima parte di loro, sviluppa poi delle qualità che li possono catalogare come “geni”.

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La maggior parte di loro ha dei grossi ritardi nello sviluppo intellettivo, cognitivo, ed emotivo.

Ma la disabilità mi sembrava una cosa molto lontana da me, ero una mamma relativamente giovane (31 anni quando ho partorito la mia prima figlia, Viviana e 34 anni per Diego), non avevo mai fatto uso di sostanze (sono così di natura...), non fumavo, in gravidanza non ho mai bevuto nemmeno un crodino analcolico, prendevo vitamine...insomma ho fatto tutto quello che potevo per far nascere “sani” i miei figli (lo metto tra virgolette volutamente...perché bisogna anche definire il concetto di sano).

Avevo lottato molto per entrambe le gravidanze, non potevo avere figli (così dicevano), soffrivo di policistosi ovarica e quasi ogni anno a partire dai 19 anni, subivo, uno o due interventi.

Quando sono rimasta incinta di Viviana avevo subito dieci interventi alle ovaie. Dieci.

Avevo una ciste di dodici cm che cresceva insieme alla bambina.

I dottori mi dissero che non sarei mai riuscita a portare a termine la gravidanza.

Invece, con grande fatica (nove mesi a letto) è nata Viviana.

Essendo figlia unica non volevo che restasse sola e il mio desiderio di maternità si fece risentire presto.

Feci un altro intervento per ripulire di nuovo l'utero e quel poco che restava delle mie ovaie e decisi di riprovare.

Rimasi nuovamente subito incinta (ovviamente mio marito si prese tutto il merito, due tentativi e due gravidanze, si sentiva un super maschio alfa).

Altra gravidanza a rischio, molto medicalizzata.

Arrivai al cesareo grossa come una balenottera, ero tutta gonfia, avevo preso più di venti kg (e su un'altezza di un metro e cinquantasei centimetri sono tanti) ma ero convinta che il grosso fosse fatto.

Ero riuscita a realizzare il mio sogno di diventare mamma di due bei bambini.

Diego è nato di quasi quattro kg, aveva già questo faccino rotondo adorabile ed un mare di capelli neri.

 

Era perfetto.

Due braccia, due gambe, tutte le dita...era perfetto.

Scrivo questo, perchè ancora oggi, quando dico che Diego è disabile tutti si fermano a guardare (due braccia, due gambe...). 

Come se la disabilità fosse legata solo ad un problema fisico.

Ma mio figlio stava bene, io avevo già sofferto tanto nella vita.

Nulla sarebbe andato storto.

Non c'erano casi in famiglia di disabilità, i test di routine erano a posto. 

Tutto bene.

E per un po' realmente ho pensato che non ci fossero problemi.

Lo avevo potuto allattare poco al seno, era molto vorace e ogni volta che lo allattavo mi si rompevano i capillari negli occhi. 

Dopo due mesi sono passata al latte artificiale ma lui cresceva lo stesso bene.

Era un bambinone sorridente.

Poi intorno ai diciotto mesi ho iniziato a notare dei particolari...aveva smesso di lallare.

Aveva dei comportamenti ripetitivi, chiudeva ed apriva le porte dei mobiletti e li sbatteva...teneva sempre un oggetto nella mano sinistra (pensavo lo facesse per darsi sicurezza...ma mi sbagliavo).

Un giorno mi sono resa conto che non faceva ciao con la manina...se cantavo “batti batti le manine” lui non ripeteva.

“Ognuno ha i suoi tempi” così mi ripetevo ma dentro di me un pensiero fisso, iniziò ad insinuarsi come un'ombra.

Arrivarono i due anni e non proferiva verbo. 

Non una parola, nemmeno detta male.

Niente.

Consultai il pediatra che tirò fuori la solita storia del ritardo del linguaggio.

È un maschio parlerà dopo.

Ma io non ero convinta. 

Viviana era stata molto precoce in tutto ma c'era qualcosa di diverso, qualcosa che non riuscivo a comprendere. Come una sfumatura che mancava.

Poi un giorno successe una cosa strana...ero da mia mamma e lui guardando la televisione improvvisamente iniziò a camminare sulle punte.

Allora un'immagine prese forma nella mie mente...avevo già visto questa situazione!

In un video dove spiegavano i primi segni dell'autismo.

Per un po' ricacciai nella testa quel pensiero.

Autismo? Perchè mai...perchè a me? Che non fumavo, non bevevo.

 A me che avevo preso vitamine e acido folico. 

No... mi ero sbagliata di sicuro.

Eppure il mio inconscio aveva già capito quello che io cercavo di negare.

Iniziai a sognare quasi tutte le notti lo stesso sogno.

Diego che iniziava a parlare e io (sempre in sogno) che dicevo “si è risolto tutto...va tutto bene”.

Ma poi mi svegliavo e ogni volta sentivo un nuovo velo di tristezza.

A due anni e mezzo iscrissi Diego ad una sezione primavera in un istituto paritario (avevo fatto lo stesso con Viviana). Pensavo che stare con gli altri bambini lo avrebbe aiutato ad iniziare a parlare.

E lì si scoperchiò il vaso di Pandora.

 

E si scoperchiò con una violenza tale da lasciarmi schiacciata a terra.

E ci sarei rimasta parecchio tempo prima di risalire.

La scuola ci trattò come degli appestati (e io non avevo ancora avuto la diagnosi).

Diego era ingestibile e ogni santo giorno me lo facevano pesare.

Restava all'asilo solo due ore al giorno (pagando la retta interamente).

A lui piaceva stare con gli altri... solo che non aveva ancora capito come fare.

Non parlava, faceva solo versi ed aveva un'iperattività incredibile.

Non stava seduto.

Non disegnava. 

Non giocava.

Correva solo da una parte all'altra.

Mi venne in mente che potesse essere sordo... magari non si girava quando lo chiamavo per questo.

Così pensavo e quasi sperai che lo fosse (perchè l'autismo mi sembrava una cosa spaventosa).

La visita andò bene e mi consigliarono un foniatra.

E quella notte, da sola al buio in cucina con il mio cellulare cercai informazioni sull'autismo e ne trovai a volontà.

E trovai il test per capire se potevamo rientrare nello spettro autistico (non sapendo minimamente cosa fosse ma la parola spettro la trovavo terribile).

Ho fatto il test più volte anche trassando su qualche risposta...ci rientravamo con tutte e due le scarpe.

Piansi quasi tutta la notte su quel divano in cucina. 

Avevo paura...non mi sentivo all'altezza di un problema così grande...

La mattina dopo prenotai la visita, con una delle persone più importanti della nostra storia.

Un medico specializzato che lavorava all'istituto dei sordi ma che era anche un grande esperto di problemi di linguaggio relativi allo spettro. 

Il Dott. Vittorio Tremontani.

Ci volle più di un mese per avere un appuntamento.

E nello stesso periodo mi dissero che il mio utero ormai era andato...avevo delle cellule borden line e rischiavo il cancro.

Una settimana prima della visita mi operarono e mi tolsero tutto il mio apparato riproduttivo.

Non avrei più potuto avere figli.

Il giorno della visita io ero molto in ansia come si può immaginare ed ero anche molto debole per l'intervento subito.

Diego era sempre stato molto affettuoso e quindi se era affettuoso non poteva essere autismo (questo mi ripetevo da sola nella mente).

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Anche quel giorno Diego, colpito dalla simpatia del dottore andò in braccio a lui senza problemi durante la visita.

Dopo più di un'ora che eravamo dentro cominciai ad agitarmi e il dottore se ne accorse.

“Dica mamma ha delle domande?”

“Non è quella cosa vero..?”

“Quale cosa?”

“Lo sa...quella cosa lì...”

“Mamma lo tiri fuori, lo dica, lo dica”

“É autismo?”

Questo credo di averlo quasi urlato tra le lacrime... ora se ci ripenso mi viene quasi da sorridere perchè sembravo Hagrid che non voleva dire ad Harry il nome di Lord Voldemort...colui che non deve essere nominato.

“Diego è autistico.  Deve immaginarsi l'autismo come varie gradazioni di colori. 

Ogni bimbo autistico ha diverse peculiarità.  La sua fortuna è stata quella di portarlo da me molto precocemente. É stata brava.”

Brava? Brava a fare cosa...forse se lo avessi allattato di più, forse se fossi stata ancora più a riposo...o forse la natura me la stava facendo pagare perché io clinicamente non potevo avere figli e invece avevo lottato per averli.

Forse ero andata contro natura e ora a mio figlio era capitato questo.

Ma quel giorno Vittorio (mi sento di chiamarlo così per affetto, mi disse una frase che determinò tutte le mie scelte future).

“Devi immaginare lo spettro come un gigantesco tunnel con varie vie d'uscita, a seconda della strada che percorrerai avrai risultati diversi”.

Non avevo subito compreso quelle parole ma ora so che le vie d'uscita non erano altro che le terapie.

Interventi precoci e terapie tante terapie a casa, a scuola, sempre, sono state quelle che ci hanno permesso di essere qui oggi.

Quel giorno tornai a casa distrutta...mi sembrava un fardello enorme da portare.

Diego mi sembrava senza futuro. Noi eravamo senza futuro.

La nostra vita non sarebbe stata più la stessa.

Pensai, davanti al balcone che se Diego non avrebbe avuto un futuro non lo avrei lasciato solo e piuttosto sarei morta insieme a lui, forse la soluzione era questa, dovevo suicidarmi insieme a mio figlio.

Ma avevo un'altra bambina di cinque anni...ero davvero questo fallimento di madre?

Avevo lottato con tutta me stessa per mettere al mondo due bambini meravigliosi e poi davanti ad una difficoltà così grande, l'unica cosa che sapevo fare era morire?

Mi sarei arresa così?

No...per la morte c'è sempre tempo.

Ma quel giorno giurai a me stessa che avrei fatto qulsiasi cosa pur di far avere ai miei figli la vita che meritavano.

E quel giuramento ormai fa parte di me e lo leggo nei miei occhi ogni mattina quando mi guardo allo specchio.

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